Pierre Lemaitre Ci rivediamo Lassù
Scritto da: Angelo Di Liberto
Pierre Lemaitre Ci rivediamo lassù (Mondadori, 2014, € 17,50, pp. 453, traduzione di S. Ricciardi). Ci sono guerre che si consumano sui campi di battaglia e guerre che serpeggiano quotidianamente negli animi. Se per le prime il nemico è visibile, spesso per le seconde, i tiranni sono difficili da riconoscere, ma fanno ugualmente male. Pierre Lemaitre col suo Ci rivediamo lassù ci mette di fronte a due fazioni contrapposte: la precarietà, l’esclusione, l’ingiustizia profonda che un conflitto, come quello relativo alla Prima Guerra Mondiale, poteva scatenare, da una parte, e ciò che resta, le conseguenze, il rimanente, l’abisso deflagrato da una bomba di spietatezza e restituito nella sua totale ineluttabilità, come maschera, a celare intrighi e mancate prese di posizione, dall’altra. Solo che l’idea dell’autore, premiato col Goncourt 2013 per il libro in questione, va nella direzione vichiana, dei corsi e ricorsi storici. I derelitti di ieri e quelli di oggi. Le nefandezze della lotta armata sui campi di battaglia, alla fine del Primo Conflitto Mondiale e l’ipocrisia dei governi del dopoguerra.
Se qualcuno pensava che il grande romanzo d’avventura si fosse arenato nelle cantine flatulente di un’autrice inglese e che le grandi storie avessero ceduto lo scettro ai libercoli di basso erotismo contemporaneo, non aveva fatto i conti con questo libro grandioso. Sembra di rivivere l’epopea solenne del feuilleton, quello illuminato e documentato. Non di certo l’immagine grigia e puttanesca della novella intrisa di smancerie e fandonie. “Ci rivediamo lassù” è orgoglio tormentato, irrisione del potere, messa in discussione di valori. Ma è proprio di questi ultimi che Pierre Lemaitre si occupa. E lo fa non senza ironia, scegliendo immagini umoristiche, finendo per erigere un monumento ai caduti di ogni guerra che è la stoltezza e la miopia dei governi, occupati a tributare onore ai morti infischiandosene dei vivi.
Ma in questo libro si parla anche di una grande amicizia, forse un po’ patologica, tra due giovani commilitoni, Albert e Édouard, vittime di un sistema politico che li vuole scomodi perché sopravvissuti; perdenti perché invisibili; esclusi perché testimoni dell’orrore. Metafora dell’antieroismo, la loro amicizia prende avvio alla fine della Prima Guerra Mondiale, sul campo di battaglia e si conclude dopo una serie di avventure rocambolesche, nel 1920, con una truffa colossale ai danni della cecità di un regime nazionale lontano dalla consapevolezza del valore.
C’è davvero di tutto in questa storia. Un voluminoso lavoro di ricerca, un’inesauribile forza avventurosa, un costante anelito alla salvazione che sembra non arrivare mai. E c’è anche un cattivo: il tenente d’Aulnay Pradelle, un uomo bellissimo che cela in sé, come contraltare alla sua avvenenza, orrore e spregio di ogni legge. L’ufficiale non esiterà infatti a sacrificare vite sull’altare dell’egoismo personale e a svilire meriti, sporcare memorie, imbrogliare le carte della vita e della morte. Sarà a causa di questo personaggio scriteriato che Albert e Édouard verranno relegati nell’ombra. Ma si sa, l’ombra è il confine esiguo entro cui la luce esilia i misfatti prima della loro scoperta. I nodi vengono al pettine in un modo o nell’altro e non c’è possibilità di scampo per nessuno. Questo non vuol dire che la giustizia trionfi, ma che indagare nei territori del male costituisca a tutt’oggi uno dei percorsi praticabili per individuare il peso delle colpe.
Chi si aspetta frasi memorabili, considerazioni stratificate, verrà deluso. Pierre Lemaitre non è scrittore del pensiero ma di destini. Intinge l’inchiostro della sua penna in un lavoro documentale forsennato e in alcuni fatti realmente accaduti, ma non aspira alla memoria dei più per una prosa aulica, rispettosa degli alti ranghi letterari. Tuttavia questo non lo esime dal farci respirare, attraverso la sua scrittura asciutta, cruda, a tratti umoristica, le atmosfere di un’umanità alla deriva. Anzi, la semplicità con la quale descrive le scene, prima sui campi di battaglia, poi per le strade di una Francia tutta da ricostruire, ci aiuta ad entrare pienamente nel grido di un popolo che vuole giustizia.
“Chi pensava che quella guerra sarebbe finita presto era già morto da molto tempo. In guerra per l’appunto”. Così si apre la storia e, in qualche modo, così si chiude. Col dubbio che la contiguità di bene e male spesso porti a confondersi, a scambiare identità, a illudere che nel sogno di felicità sia ammissibile l’imbroglio. Chi di noi non ha mai pensato che raggirare potesse costituire una possibilità di conquista del benessere? Che nel miraggio della vittoria fosse compreso l’inganno? Perché se stare confinati sotto terra, a pochi centimetri dalla luce, senza aria, con una testa di cavallo morto, imputridita sul viso, che emana lordume, possa costituire un barlume di speranza, di non soffocare, aspirando le ultime molecole di aria rimasta, – di aggrapparsi alla morte per non farsene fagocitare, – tornare alla vita significa mettersi di fronte alla propria verità. Qualsiasi essa sia. Anche a costo di essere fucilati, come Jean Blanchard, un soldato che venne giustiziato per tradimento nel 1914 e riabilitato sette anni dopo e la cui frase, estratta da una lettera indirizzata alla moglie prima di morire, dona il titolo al libro di Pierre Lemaitre. Perché i confini del bene e del male si spostano continuamente e sono affidati al buon senso degli uomini e non a un dio che vorrebbe del cielo un posto lontano a cui approdare, ma che rende inaccessibile. Un posto che nemmeno tutte le leggi degli stati potrebbero eguagliare e di cui gli uomini sono vittime. “Per un finale di guerra, non è male. Una bella immagine. Ma non è l’ultima. Mentre Albert Maillard riprende vagamente conoscenza, si spolmona rotolando sul fianco, Édouard dritto come un fuso insulta il cielo, come se fumasse un candelotto di dinamite. È allora che vede arrivargli addosso una scheggia di granata grossa come un piatto fondo. Abbastanza spessa e a una velocità vertiginosa. La risposta degli dei, probabilmente”. Che è spesso la risposta degli uomini.
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Tags: Ci rivediamo Lassù, Mondadori, Pierre Lemaitre
Bellissima recensione, grazie Angelo. Aggiunto alla mia lista dei “must read” tanto per essere un tantino cosmopolita!
Qualche tempo fa ho notato questo libro sugli scaffali della mia biblioteca, e lì per lì l’ho addocchiato appena appena e non mi ci sono soffermata più di tanto. Ora, dopo aver letto questa recensione, mi sono incuriosita. Quando la biblio. mi dirà che è libero lo richiedo in prestito. Poi, come mi è capitato altre volte, se mi piace veramente nulla mi impedirà di comprarlo.
Ciao Susy e Manuela,
vi ringrazio per la stima. Sono appassionato di Letteratura in genere, in particolare di quella francese.
Questo di Pierre Lemaitre è un premio Goncourt e state pure certe che in Francia un Goncourt è sempre meritato.
Per cui sono contento che leggerete il libro. Fatemi partecipe delle vostre impressioni per favore. È bello scambiarsi i pareri.
Un caro saluto e buone letture.
Bene bene caro Angelo, dopo quasi cinque secoli son tornati Don Chisciotte e Sancho Panza. Edouard -Don Chisciotte- testardo e idealista, e Albert -Sancho Panza- codardo ma realista vengono ripresi in un epoca più vicina alla nostra, anzi, in un periodo che ci porta ancora molti ricordi per bocca dei nostri padri i quali a loro volta sono stati narrati dai nostri nonni. E questo libro capita proprio ora, a due mesi dall’inizio della commemorazione del centenario…………quanto avrei voluto poter chiedere ai miei due nonni i racconti dell’epoca!! Ma sono morti quando io ero piccola o non abbastanza grande da porre domande del genere. Un’amicizia fra i nostri due eroi nata sull’onda instabile della gratitudine e del senso di colpa sviluppata dal “povero” Albert nei confronti del “ricco” Edouard. Ma mai come qui si capisce che in guerra non esiste il ricco e il povero, la signora con la falce livella tutto, i reduci portano ferite non rimarginabili, non si sa quali fanno più male se quelle fisiche o quelle dell’anima. Il libro non mi ha acchiappato subito, è stato nello svolgersi delle vicende che il coinvolgimento si è impossessato di me, quelle due truffe di cui si narra mi hanno lasciata basita……ed io che credevo fossimo solo noi italiani ad averne il monopolio!! Ma Lemaitre è autore dei giorni nostri e prima di scrivere il libro si è ben documentato su fatti realmente accaduti, quindi tutto rigorosamente vero. Bello, veramente bello, e sì, il premio Goncourt non potevano darlo a opera migliore, concordo con te… E ora un piccolo appunto: io non dico mai che amo la letteratura, ma solo che amo leggere. Il termine letteratura è talmente vasto da comprendere, ahimè, anche il “Mein Kampf” di Hitler, che non ho mai letto e neanche mi interessa farlo. Amo gli autori russi, ma anche qui c’è da fare un distinguo; adoro Dostojevsky ma detesto Bulgakov, come posso dire che amo la letteratura russa? Lo stesso dicasi per quella francese: evviva Hugo, Dumas, Prevert, Baudelaire ma non mi piace Balzac…..Sono pedante? Mi sa di sì, ma non riesco a farne a meno, perdonami e… alla prossima lettura.
Ciao Manuela,
intanto grazie per avere letto il libro da me proposto e per avere scritto questo tuo intrigante parere.
Hai ragione quando punti il dito contro la definizione di letteratura. Il mio dire paga lo scotto a una concezione della stessa che faccia riferimento alla consapevolezza.
Dirigo un gruppo facebook che per l’appunto di occupa di consapevolezza letteraria. Si chiama “Billy, il Vizio di Leggere”. In quel contesto (amiamo definirci lettori consapevoli) definiamo un confine netto su ciò che reputiamo Letteratura, da distinguere dalla produzione commerciale o di altro genere, che non ci appartiene per formazione e anelito.
Grazie ancora.
A.
Errata Corrige: definiamo un confine netto attorno a ciò che reputiamo Letteratura.