magica Amélie, dici sempre le cose che sento!
(A. Nothomb La nostalgia felice)

4 aprile 2014

Amélie Nothomb, La nostalgia felice (Voland, 2013, traduzione di Monica Capuani, € 14,00, pp. 118). Seguita da una troupe della televisione francese, la scrittrice belga torna nella terra che le ha dato i natali, la primissima infanzia e un amore mai sopito. Non metteva piede in Giappone da quando, a 21 anni, ci era tornata vagheggiando il passato e un lavoro da nipponica doc. Aveva trovato un fidanzato e materia per scrivere due dei suoi libri più belli, Stupore e tremori (sulla sua esperienza in un’azienda di Kyoto) e Né di Eva né di Adamo (sull’amore con Rinri).
Questo ritorno ha la pacatezza dell’età, l’amarezza della nostalgia, la disillusione dei sogni infantili quando li si ricerca da adulti. L’incontro con l’amatissima tata-mamma Nishio-san è forse il momento più dolente (la foto in copertina ritrae Amélie bambina in braccio a lei, ed è un pezzo della bellezza di questo libro intimo): strette da un legame simile a quello tra una madre e una figlia, hanno custodito entrambe un ricordo che le ha riempite di nostalgia per tutta la vita. Ma non resta molto da dirsi. Solo un abbraccio un po’ goffo e le lacrime per i sogni belli, quando ti svegli al mattino e sono svaniti.
Ora Amélie è desta. Con questo libro riesce a farci provare un grumo di emozioni contrastanti. E a ricordarci – questo è quello che mi è ‘arrivato’ – che certi legami d’infanzia è meglio conservarli lì, nella bolla della nostalgia felice, perché la realtà non può che farli scoppiare.

Non è forse il migliore dei suoi libri autobiografici. Ma c’è una cosa per cui sono sempre grata ad Amélie Nothomb (e per questo chiuderò con una piccola raccolta di citazioni): fotografa sensazioni minute con le quali sono così d’accordo, che vorrei averle scritte io!


«Il weekend ero a cena con i miei genitori. Avevo previsto di raccontare il loro del mio imminente viaggio in Giappone. Al momento di farlo, dalla mia bocca non uscì nemmeno una parola. È un fenomeno che mi accade spesso, soprattutto con i miei: voglio confidare loro qualcosa che mi sembra importante e il meccanismo si inceppa. Non è una cosa fisica, non mi va via la voce. È una questione di natura logica. Vengo assalita da questo interrogativo: “perché dovrei dirlo?”. In mancanza di una risposta, taccio»
(pag. 16)

«Se il tempo misura qualcosa in un essere umano, sono le ferite. Penso di averle ricevute né più né meno di chiunque altro: E dunque molte. Lungi dal corazzarmi, questo comune destino mi ha messo il cuore a nudo. Le mie reazioni sono più forti di prima»
(pag. 30)

«È una legge immutabile dell’universo:  se ci è dato di provare un’emozione forte e nobile, un grottesco incidente arriva subito a rovinarla»
(pag. 43)

«Può capitare che il più profondo dei nostri bisogni sia anche la più atroce delle ordalie»
(pag. 46)

«Flaubert dice giustamente: “la stupidità consiste nel voler trarre conclusioni»
(pag. 55)

«Ho sempre avuto un enorme problema con il ritardo. Ed è tanto più strano dal momento che non sono mai arrivata in ritardo in vita mia. Il mio problema perciò non riguarda il ritardo, ma l’eventualità del ritardo.  Quando ho l’impressione che potrei avere mezzo minuto di ritardo,  mi sento così male che preferirei morire»
(pag. 79)

«L’imbarazzo è uno strano difetto del centro di gravità: può provarlo solo una persona con un nucleo che è rimasto fluttuante. Le persone solidamente centrate non capiscono di cosa si tratti. L’imbarazzo presuppone un’ipertrofia della percezione, da cui deriva l’educazione delle persone imbarazzate, che vivono solo in funzione degli altri»
(pag. 99)

Scritto da: Francesca Magni

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