Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco: scelta la cinquina dei finalisti

17 giugno 2013

Nella foto: la giuria 2013, da destra Stefano Rottigli, Cecilia Scerbanenco, Piero Colaprico, Annarita Briganti, Francesca Magni

Sabato scorso ho fatto parte della giuria del premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco, organizzato dalla Provincia di Lecco. È stato piacevole e interessante. A noi 5 giurati (c’erano Piero Colaprico, Annarita Briganti, Stefano Rottigni e Cecilia Scerbanenco) il compito di selezionare, fra 34 gialli italiani pubblicati nell’ultimo anno, una cinquina di finalisti tra i quali una giuria popolare di 100 lettori decreterà il vincitore (la premiazione è l’11 ottobre).

È stata dura aggredire quella mole di pagine edite da case editrici di ogni tipo, da Rizzoli a Salani, da Garzanti a e/o fino alle piccole come Todaro, Frilli, Eclissi. La qualità non era distribuita in modo scontato, e ogni editore poteva proporre uno o più libri. Mi sono tuffata, come nell’impellenza di una traversata in mare che non si può rimandare. Ho nuotato temendo talvolta di affogare. Poi, come sempre accade se si asseconda la corrente anziché ostacolarla, ho trovato delle boe.

Qualche libro mi ha conquistata. Pochi, a essere sincera. C’è passione, nei giallisti italiani. C’è impegno, amore per il genere, discreta padronanza dei topoi del giallo, dalla tipologia del commissario/maresciallo, ai meccanismi delle indagini. Non sempre, però, una vera padronanza della lingua e del ritmo narrativo o della sintassi dei personaggi, quella che ti permette di visualizzarli e coglierne subito la personalità in modo da sentirli veri, credibili, come se da qualche parte potessero esistere sul serio. A volte, come ha fatto notare Piero Colaprico, sarebbe bastato un editing per tirar fuori da un talento abbozzato un giallo di valore.

Ma tra i difetti, un pregio: il paesaggio del giallo italiano coincide spesso con la provincia, della quale riesce a dare piccoli ritratti inattesi e spesso non scontati. Leggerli è stato anche un viaggio in un’Italia poco nota, ruspante a volte, piena di limiti e difetti, e molto “nostra”.

Ho faticato a decidere la cinquina: mi domandavo se farmi guidare da criteri come le quote rosa (le autrici donne erano 7 su 34), il “cencelli” delle case editrici, l’età degli autori (fra loro Elda Lanza e Dario Crapanzano), se tentare di “indovinare” cosa avrebbero votato gli altri giurati… Alla fine ho scelto assecondando solo il mio gusto, il piacere provato nella lettura, la scrittura, l’intreccio e il suo svolgimento. Ho fatto solo una deroga e ho inserito nella mia cinquina un romanzo che pensavo di “dover” inserire, perché scritto con tutto quello che ti aspetti di trovare in un giallo (anche se con poca anima), e poi me ne sono pentita.

Due dei titoli della mia cinquina sono arrivati in finale, e di questo sono molto soddisfatta. Tutti i 5 finalisti sono romanzi che ho apprezzato. Fra loro c’è anche quello-che-avrei-voluto-votare ma che ha lasciato il posto a quello-che-ho-pensato-di-dover-votare. Bilancio finale: seguire l’istinto fino in fondo, la prossima volta!

Ecco la cinquina dei finalisti. Qualcuno dei libri che ho preferito ve lo racconterò prossimamente.
Roberto Riccardi, Undercover. Niente è come sembra (e/o)
Dario Crapanzano, Il delitto di via Brera (Frilli)
Sergio Vanni, L’uomo con la mano alzata (Eclissi)
Fabrizio Canciani, Acqua che porta via (Todaro)
Maria Masella, Celtique (Frilli)

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