Marco Missiroli Il senso dell’elefante

13 gennaio 2013
Scritto da: Susy

Marco Missiroli, Il senso dell’elefante (Guanda, 2012,  pp. 235). La devozione verso i figli è il senso dell’elefante, il concetto che dà il titolo a questo romanzo di Missiroli. In particolare la devozione di un padre, di tutti i padri, verso i figli. Gli elefanti si prendono cura dei piccoli indipendentemente dai legami di sangue. I cuccioli diventano del branco, ed il branco, tutto, li protegge. Questo è il tema centrale del romanzo. È ambientato a Milano in un neanche molto affollato condominio.
E come succede spesso il condominio diventa un’unica grande famiglia di cui Pietro (il nostro personaggio principale) conoscerà presto movimenti, abitudini, segreti.
Pietro arriva da Rimini. Si è trasferito a Milano dopo aver ricevuto una lettera: una busta di carta da riso con un francobollo di Emilio Salgari, contenente una foto ed una lettera ripiegata in tre. Porta con sè la sua inseparabile biclicletta Bianchi ed una valigia di ricordi.
Pietro era un prete. Ora non lo è più. Orfano, aveva conosciuto solo questo di padre, un padre che non aveva mai visto ma che gli avevano insegnato ad amare e a pregare. A Milano diventa il portinaio di questo condominio dove la sua vita si  legherà a quella di altre persone, ognuna con il suo segreto, con i suoi peccati, con la sua storia.
C’è Fernando, il ragazzo strambo, innamorato di Alice, la ragazza che lavora al bar di fronte. C’è Paola, la madre, oppressa dalla sua solitudine e dalla convivenza con un figlio strambo che non sa come aiutare. C’è l’avvocato Poppi, solo pure lui, dopo aver perso l’unico amore della sua vita: Daniele. E c’è Luca, la moglie Viola e la figlioletta Sara, che si affezionano subito a Pietro, probabilmente per il suo modo così discreto di esserci,  senza dare nell’occhio, quasi come un angelo custode, che appare quando se ne sente maggiormente il bisogno.
C’è Lorenzo, un piccolo paziente di Luca, medico in un centro oncologico infantile. Anche Lorenzo ha una passione per gli elefanti. Luca vede ogni giorno la morte sfilare davanti ai suoi occhi, tocca con mano la sofferenza delle persone, un peso talvolta così ingombrante da portare.
Poi c’è Anita, l’unica e più cara amica di Pietro che lo ascolta, lo consiglia. E c’è Celeste, il suo passato, un amore più grande anche di quel Padre che gli avevano insegnato ad amare e pregare.
Pagina dopo pagina Missiroli svela i sottili legami tra Pietro e tutte queste persone che diventano la sua famiglia, lui che non ne aveva mai avuta una.
Quasi come in un mosaico, pezzo dopo pezzo, la storia si rivela: una storia che è insieme di vita e di morte. Morte che è liberazione, quasi sollievo.
Non voglio svelare troppo della storia  per chi non abbia mai sentito parlare di questo libro. Dirò solo che è un romanzo intenso. Mi ha colpito il linguaggio di Missiroli, le sue descrizioni degli ambienti e dei personaggi; poi i silenzi di Pietro;  non è uomo di molte parole. Ascolta, studia, intuisce e alla fine compie una scelta che, giusta o sbagliata, racchiude il significato di tutto il romanzo.

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