Silvia Longo Il tempo tagliato

19 novembre 2012
Scritto da: Angelo Di Liberto

Silvia Longo, Il tempo tagliato (Longanesi, 2012, € 12,90, pp. 206). C’è una particolare scansione del tempo in musica. Si chiama “tempo tagliato” e si scrive 2/2 per differenziarlo da quello in 4/4.
È un tempo più semplice perché rende facile la lettura della musica. Si utilizzano valori meno complessi e tempi ritmici più accessibili rispetto al tradizionale 4/4.
Quello del libro di Silvia Longo è un modo di comporre la musica della vita. Di entrare nei vissuti cantati delle esistenze.
Viola e Federico. Un canto e un controcanto coniugale. Lei è il tempo tagliato, lui è un tempo complesso, ragionato, compiuto nell’attimo stesso della sua morte.
Viola ha origini semplici, immagini emotive generose, ereditate dai genitori come fossero gioielli. Dopo ventidue anni di matrimonio ha imparato il silenzio e il ruolo della moglie perfetta. Mai una sbavatura, una chiacchiera di troppo.
Federico è la norma, la superficie, il ritmo di un’esistenza votata alla musica. Dirige e vive solo quando è insieme alla sua orchestra. Fuori da quel luogo della mente è distaccato, distratto e inconsapevole delle vite che gli ruotano intorno.
L’immagine che i due danno di sé descrive la parabola ascendente di un matrimonio impeccabile. Nessuna ombra, nessun pettegolezzo sul loro conto. Eppure hanno costruito una gabbia che ha sbarre trasparenti e che ha finito per soffocare dolcemente le loro vite.
La voce di Viola è il ritmo che mancava. Si è inserita nella scansione esistenziale del marito ma ha dimenticato la propria. Ne è rimasta intrappolata e non ne è più uscita.
Quella voce si leva ancora. Una possibilità. Un concerto in onore di Federico presso il chiostro del duomo di Alba. Un incontro che la segnerà, che traccerà un’insolita linea del tempo.
Il nuovo esecutore è Mauro, così diverso dal marito morto. Mauro è la sincope. In musica la sincope è una figura ritmica che denota un’interruzione del ritmo, inducendo in chi ascolta un effetto di un’intensità variabile, che va dall’angoscia, al disorientamento fino alla sorpresa. E’ un arresto che elimina gli accenti musicali precedenti e conduce Viola alla fuga dal precostituito.
Una corsa contro quel tempo che l’ha sempre asserragliata, vittima sacrificale e consenziente allo stesso modo.

“Te l’ho detto, era la mia vita. Prendere o lasciare. Avevo un posto, un ruolo preciso. Un’utilità. Tutto quello che ho fatto, è stato perché lo avevo scelto, tutto…”.

È la storia di tante donne, troppe. Il cammino culturale e sociale che le ha liberate e rese schiave, ritorna nei silenzi e in quei vuoti di senso che appartengono al quotidiano.
Pessoa dice che:

“la vita è un dimenticarsi continuamente, ma io, in questa mia intensa vita, sono vissuto in me stesso così solitario che non so dimenticarmi, né togliere da me gli occhi dell’anima”.

E così Viola non si è dimenticata. E’ rimasta talmente in se stessa da anelare un Altrove; ha avuto così coscienza della solitudine da inventarsene un’altra in cui rinchiudersi per non soffrire.
Tutti creiamo gabbie con sbarre invisibili sperando che siano sicurezza e identità. Poi arriva il tempo dell’Abbandono, che è entrare in rapporto profondo con la vita.
Che è il tempo dell’identità in noi stessi. Che è un tempo rinnovato, semplice… tagliato.

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