un capolavoro:
Julian Barnes Il senso di una fine

18 agosto 2012

Julian Barnes Il senso di una fine (Einaudi, 2012, traduzione di Susanna Basso, €17,50, pp. 150). Il nostro quotidiano è punteggiato di fini il cui senso è l’inizio che ne segue, o almeno così ce le spieghiamo. Forse questo è il senso anche delle grandi e irreparabili. Ma ogni fine, insegna Julian Barnes, ha un senso di per sé, che non è sempre dato vedere al primo sguardo. Un senso fluido, che può rivelarsi mutevole al sopraggiungere di nuovi indizi per decifrarlo. È quanto scopre Tony Webster ormai sessantenne sul discendere della parabola di una vita semplice (mediocre?), una carriera scontata, un divorzio poco drammatico, una figlia con cui intrattiene rapporti di quieta superficialità.

Tony, a molti anni di distanza, è costretto a rileggere il suicidio dell’amico ventiduenne Adrian, e a derubricarlo dalla voce ardore. E mentre si interroga sulla vicenda ripercorrendo i ricordi, imperfetti come documenti storici, Tony ormai vecchio ritrova il Tony giovane, denudato delle mistificazioni della memoria.
Julian Barnes costruisce un romanzo in due tempi. Nel primo, c’è il ritratto (da un illuminante punto di vista maschile) di una giovinezza borghese nell’Inghilterra degli anni Sessanta, che per Tony e i suoi amici sono ancora mescolati agli anni Cinquanta. C’è l’amicizia con Adrian, il carismatico del gruppo. La storia d’amore incomprensibile fra Tony e Veronica, un maschio e una femmina troppo diversi. C’è un disastroso, indimenticato weekend dalla famiglia di lei: ricordi che si appiccicano alla memoria in una sequenza necessaria.
Nel secondo tempo arrivano le conseguenze. «Per anni tiriamo avanti con gli stessi espedienti, gli stessi fatti, le stesse emozioni. […] I fatti confermano i sentimenti – rancore, il senso di un torto subito, sollievo – e viceversa. […] Ma che succede quando, seppure molto tardi, i nostri sentimenti riguardo a fatti e persone del passato remoto cambiano?». A Tony capita proprio questo, quando riceve un’eredità singolare e inattesa che lo rituffa negli anni della storia con Veronica, del rapporto con Adrian. E un gesto compiuto con la furia dei vent’anni finisce per tornare come un boomerang a illuminargli un lato meschino di se stesso.
Questo romanzo riempie di domande, e di spavento. Perché quel gesto di Tony ognuno di noi può averlo compiuto. Mi volto indietro e mi chiedo quale intemperanza dei miei anni più bui potrà aspettarmi un giorno sulla soglia con il conto in mano. Proprio mentre crederò di aver messo tutto in ordine e, in un modo o nell’altro, portato a termine le cose per bene.
Si accende un faro sulla strada di Tony, ed è rivolto all’indietro. Il passato smette di essere una sequenza di fatti e sentimenti concatenati dalla memoria a scopo autoassolutorio e si mostra, sotto la luce impietosa, per quello che è. È un lampo, un momento. Il senso della fine di Adrian appare a Tony per mostrargli anche il senso della propria. No, Tony non è ancora morto. Non è la fine della vita in sé, nel suo caso, ma di qualcos’altro: «la fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi. Ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato?».
Bisogna avere un po’ di anni alle spalle per amare questo capolavoro di Julian Barnes, premiato con il Man Booker Prize nel 2011.
Bisogna conoscere “il problema dell’accumulo”. «Scommetti su una relazione, non funziona; vai alla successiva, e non funziona neanche quella; forse non perdi solo la somma di due sottrazioni, bensì un multiplo di quanto avevi puntato. L’impressione è questa, comunque. La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti».
Bisogna interpretare il titolo alla luce della parola “fine”, un faro gettato sul senso di ciò che è stato prima. Sul senso della vita. «C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto».

Scritto da: Francesca Magni

PS 1 Quando l’avete finito, rileggete la prima pagina.
PS 2 Grazie, Anna.

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