un capolavoro:
Julian Barnes Il senso di una fine
Julian Barnes Il senso di una fine (Einaudi, 2012, traduzione di Susanna Basso, €17,50, pp. 150). Il nostro quotidiano è punteggiato di fini il cui senso è l’inizio che ne segue, o almeno così ce le spieghiamo. Forse questo è il senso anche delle grandi e irreparabili. Ma ogni fine, insegna Julian Barnes, ha un senso di per sé, che non è sempre dato vedere al primo sguardo. Un senso fluido, che può rivelarsi mutevole al sopraggiungere di nuovi indizi per decifrarlo. È quanto scopre Tony Webster ormai sessantenne sul discendere della parabola di una vita semplice (mediocre?), una carriera scontata, un divorzio poco drammatico, una figlia con cui intrattiene rapporti di quieta superficialità.
Tony, a molti anni di distanza, è costretto a rileggere il suicidio dell’amico ventiduenne Adrian, e a derubricarlo dalla voce ardore. E mentre si interroga sulla vicenda ripercorrendo i ricordi, imperfetti come documenti storici, Tony ormai vecchio ritrova il Tony giovane, denudato delle mistificazioni della memoria.
Julian Barnes costruisce un romanzo in due tempi. Nel primo, c’è il ritratto (da un illuminante punto di vista maschile) di una giovinezza borghese nell’Inghilterra degli anni Sessanta, che per Tony e i suoi amici sono ancora mescolati agli anni Cinquanta. C’è l’amicizia con Adrian, il carismatico del gruppo. La storia d’amore incomprensibile fra Tony e Veronica, un maschio e una femmina troppo diversi. C’è un disastroso, indimenticato weekend dalla famiglia di lei: ricordi che si appiccicano alla memoria in una sequenza necessaria.
Nel secondo tempo arrivano le conseguenze. «Per anni tiriamo avanti con gli stessi espedienti, gli stessi fatti, le stesse emozioni. […] I fatti confermano i sentimenti – rancore, il senso di un torto subito, sollievo – e viceversa. […] Ma che succede quando, seppure molto tardi, i nostri sentimenti riguardo a fatti e persone del passato remoto cambiano?». A Tony capita proprio questo, quando riceve un’eredità singolare e inattesa che lo rituffa negli anni della storia con Veronica, del rapporto con Adrian. E un gesto compiuto con la furia dei vent’anni finisce per tornare come un boomerang a illuminargli un lato meschino di se stesso.
Questo romanzo riempie di domande, e di spavento. Perché quel gesto di Tony ognuno di noi può averlo compiuto. Mi volto indietro e mi chiedo quale intemperanza dei miei anni più bui potrà aspettarmi un giorno sulla soglia con il conto in mano. Proprio mentre crederò di aver messo tutto in ordine e, in un modo o nell’altro, portato a termine le cose per bene.
Si accende un faro sulla strada di Tony, ed è rivolto all’indietro. Il passato smette di essere una sequenza di fatti e sentimenti concatenati dalla memoria a scopo autoassolutorio e si mostra, sotto la luce impietosa, per quello che è. È un lampo, un momento. Il senso della fine di Adrian appare a Tony per mostrargli anche il senso della propria. No, Tony non è ancora morto. Non è la fine della vita in sé, nel suo caso, ma di qualcos’altro: «la fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi. Ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato?».
Bisogna avere un po’ di anni alle spalle per amare questo capolavoro di Julian Barnes, premiato con il Man Booker Prize nel 2011.
Bisogna conoscere “il problema dell’accumulo”. «Scommetti su una relazione, non funziona; vai alla successiva, e non funziona neanche quella; forse non perdi solo la somma di due sottrazioni, bensì un multiplo di quanto avevi puntato. L’impressione è questa, comunque. La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti».
Bisogna interpretare il titolo alla luce della parola “fine”, un faro gettato sul senso di ciò che è stato prima. Sul senso della vita. «C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto».
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Scritto da: Francesca Magni
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PS 1 Quando l’avete finito, rileggete la prima pagina.
PS 2 Grazie, Anna.
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Tags: Einaudi, Il sendo di una fine, Juian Barnes, Man Booker Prize
Dopo la tua accorata recensione come non desiderare di leggere questo libro? Ho bisogno di una lettura densa e corposa che mi assorba completamente e che lasci fuori dalla mia testa la realtà. Almeno per qualche ora.
Un’amica un poco più grande di me che lo ha letto l’ha definito “crudele”… Non è un romanzo che fa sconti, questo è certo. Forse colpisce in modo diverso a seconda dell’età a cui lo si legge… Aspetto vostri pareri
Lo sto leggendo ora, ma in inglese, perchè un’amica me ne ha parlato un paio di settimane fa a Londra e l’ho acquistato proprio lì…lo leggerò e ti farò sapere…
Molto bello ma anch’io come tony faccio fatica a chiudere la storia. Chi mi aiuta?
Un libro scritto benissimo. Denso e intrigante. Elaborate considerazioni sul tempo che passa, affrontate con grazia e delicatezza. Più che la storia colpisce l’ambientazione, sempre reale e concreta. Molte frasi memorabili. Non sempre facile, il libro regala emozioni di alto profilo. Bellissimo come viene esposto il concetto dei ricordi in confronto a quello che realmente siamo stati.
SPOILER ALERT! QUESTO COMMENTO SVELA IL FINALE DEL LIBRO: DECIDI TU SE LEGGERLO O MENO
Ditemi se ho capito bene: il figlio era di Adrian e della madre di Veronica?
Ho letto e riletto i vari “estratti” e sono arrivata a questa conclusione.
Mi da un pò fastidio rimanere con un dubbio.
Grazie.
Anna
Mi sentirei ipocrita se non la pensassi così, una specie di marionetta che recita la farsa di una storia che volge alla fine: la vecchiaia ci consente di vivere solo il passato, è l’unico futuro che ci resta.