voglio una stanchezza più giusta
(Byung-Chul Han La società della stanchezza))

14 marzo 2012

Tra le decine di libri che ogni giorno fanno traboccare la mia scrivania e il mio senso di inadeguatezza (non potrò mai guardarli tutti!), un lunedì di ordinaria frenesia eccone comparire uno piccolo piccolo. La società della stanchezza (edizioni Nottetempo, 2012, € 6,00). L’autore, Byung-Chul Han, è un filosofo di origini coreane che lavora in Germania e studia gli effetti della globalizzazione sui ritmi di vita delle persone. Sarà la mole non molesta, sarà il titolo: mi ci butto con il sollievo con cui ci si fa abbracciare quando si è affranti. Ecco cosa sostiene:  «la società disciplinare fatta di manicomi, prigioni caserme e fabbriche» ha lasciato il posto «a una società fatta di fitness center, grattacieli di uffici, banche, aeroporti, centri commerciali», un mondo pieno di cose all’apparenza positive che ci saturano e ci portano a vivere non più sotto il dominio dell’obbligo ma sotto quello della prestazione; «L’eccesso di stimoli, informazioni, impulsi, e il carico di lavoro sempre crescente modificano radicalmente la struttura dell’attenzione». Ci fa perdere l’attenzione profonda.

Non so che effetto faccia a voi, ma so che parla di me. Penso a tutte le volte che inizio una frase e non so più come finirla perché un secondo pensiero si è accavallato al primo, portandomi lontano. Quando gli stimoli sono troppi, dice il filosofo coreano, si produce iper-attenzione, che è uno stato di allerta, un’attenzione diffusa ma superficiale. Si diventa multitasking, che erroneamente consideriamo un progresso: in realtà è un regresso, «il multitasking si trova tra gli animali, è una tecnica dell’attenzione indispensabile per la sopravvivenza nell’habitat selvaggio».

Senza nulla togliere alla benedetta abilità (tutta femminile) di fare più cose insieme, penso sia il momento di aprire un dibattito sul tema: fare mille cose insieme costa, costa carissimo. Fatica. Ansia. Stato di allerta costante. Ma soprattutto sterilità mentale: mai come ora in cui sembra che io sia così vulcanica, sono stata tanto arida. Senza idee. «La pura frenesia non crea nulla di nuovo, ma riproduce e accelera ciò che è già disponibile», spiega Han. La mia mente funziona come un ipertesto in cui il pensiero cade di continuo su link interattivi, che si aprono e mi portano altrove facendomi dimenticare da dove venivo e cosa volessi fare.

È una dimensione surreale che ricorda il viaggio di Alice nel paese delle meraviglie, ma di meraviglioso non ha proprio niente, solo sequenze di stimoli a cui rispondere, e in fretta. Nessuno si sognerebbe di seminare un fiore e di urlargli “Sboccia subito!”. Eppure a noi è richiesto. Sul lavoro, a casa, con gli altri. Paul Cézanne, grande contemplativo, diceva che sarebbe stato in grado di “vedere” anche l’odore delle cose. Passava ore a osservare le famose mele dei suoi dipinti. Non gli chiedevano di svolgere mansioni diverse e sempre di più, di essere contemporaneamente una madre attenta alle esigenze pratiche ed emotive dei figli, di organizzare la quotidianità di una famiglia, di perseguire i suoi legittimi desideri e interessi, di essere sempre presente per chiunque avesse bisogno di lui, dalle amiche ai parenti. Cézanne poteva permettersi il vuoto, il silenzio, la solitudine. “Non si è mai più occupati di quando non si fa nulla, non si è mai meno solo di quando si è soli”, diceva Catone.

Io, mamma lavoratrice del Terzo Millennio, non esigo tanto. Ma una cosa ho deciso di chiederla: una stanchezza più giusta. Quella che Han definisce “stanchezza fondamentale”, che «abitua l’essere umano a un particolare abbandono, a un quieto non-fare in cui si risveglia una particolare capacità di vedere». Una stanchezza che sia intervallo spossato ma lieto. Che sia come quella della terra quando viene l’inverno e lei resta immobile sotto la coperta del freddo sembrando morta, e invece si rigenera. Non è della lentezza che abbiamo bisogno; non ho mai condiviso i manifesti per una vita più lenta: il mondo corre e a me correre piace. Però voglio che mi sia concessa una stanchezza giusta, che non è quell’incessante andare della mente alle cose da fare, ma è il legittimo fermarsi, per qualche ora, lasciandole lì, senza neanche pensarle.

Scritto da: Francesca Magni

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(Byung-Chul Han La società della stanchezza))”


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