l’importanza di volersi bene
(Michela Marzano Volevo essere una farfalla)
Scritto da: Roberta Diliddo
Michela Marzano, Volevo essere una farfalla (Mondadori Strade Blu, 2011, € 17,50, pp. 210). Un fiume in piena d’emozioni. Questa è la prima sensazione che mi ha dato questo libro. Michela Marzano vive a Parigi. Insegna filosofia come professore ordinario all’università e si sente. Parla della sua storia con grande onestà, senza freni. Sembra come se questo libro fosse la tesi di laurea del suo personalissimo corso di formazione alle emozioni. Mi è piaciuto moltissimo perché parla d’anoressia in realtà non parlandone mai. Perché come dice lei è un sintomo non è la malattia. Racconta il suo rapporto con un padre anaffettivo, molto severo, ma che lei ama molto più di quanto ami se stessa. Dà una chiave di lettura che vale per tanti di noi, non necessariamente anoressiche. C’è chi mangia troppo e chi troppo poco, chi pretende troppo e chi invece schiacciato dal giudizio non osa chiedere. Il rapporto con le figure di riferimento dell’infanzia è determinante per il futuro di una persona, ma è molto importante riuscire a lasciare quella bimba con le treccine e vedere con uno sguardo adulto le debolezze di chi pensavamo infallibile. Insomma un libro che racconta di un bruco che con fatica è diventato farfalla.
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«La cosa più difficile è far capire. Quella sofferenza che è dentro. Immensa. Senza fondo. Che non lascia trasparire nulla. Perché dall’esterno non si vede. Nessun segno. Nessun indizio. Nessuna spiegazione razionale. Anzi, se si guarda dall’esterno tutto va bene.
Hai tutto. Assolutamente tutto. Bellezza, intelligenza, sensibilità. Una famiglia, degli amici, dei diplomi. Non sei malata. Cioè sì, lo sei, ma nell’unico senso inaccettabile del termine, perché, per gli altri, sei tu che sei all’origine della tua malattia. […]
E allora come far capire agli altri che in quel magnifico tutto manca l’essenziale? Come spiegar loro che, nonostante tutto quello che si ha, manca la semplice e banale evidenza che vivere è bello?» (pag. 92)
La bellezza di questo libro, oltre all’intensità e all’acutezza con cui è scritto, sta nel fatto che sa rendersi paradigma della sofferenza, come dice Roberta: non solo delle anoressiche ma di chiunque soffra di “malamore”, dell’essere cresciuto in famiglie “malamanti” (l’anoressia non è la malattia, è il sintomo). E’ un libro che ci sfiora tutti, sotto qualche forma.
Sono d’accordo Francesca. È una cosa che fa soffrire tantissimo sentire un disperato bisogno di aiuto e non avere la voce per gridarlo al mondo. Fuori tutto sembra funzionare, ma sotto quella calma apparente è come se ci si sentisse vinti. Come se la corrente che ti trascina sotto fosse troppo forte. E più cerchi di spiegarlo più quelle parole perdono senso. Ti ascolti e capisci quanto quel macigno sia troppo pesante per poterlo tirare fuori e mostrare agli altri. È faticoso anche solo parlarne… L’amore è l’unica droga di cui abbiamo un disperato, vitale bisogno.
Mi vien da dire che l’amore è come l’acqua: ne siamo fatti, non possiamo prescinderne. Solo che a differenza dell’acqua (o in certi casi proprio come l’acqua) ci giunge inquinato…
C’è un altro merito, nel libro di Michela Marzano, secondo me: riesce a richiamare l’attenzione sulla voce del corpo. Ogni nostro disagio è il corpo a raccontarlo. Ma non abbiamo mai imparato – né creduto necessario applicarci seriamente a impararlo – a decifrare quel linguaggio. Preferiamo le parole, gli intellettualismi, ciò che si legge in superficie. L’anoressia, come la bulimia, come la maggior parte dei disturbi di cui ognuno di noi soffre è voce inascoltata dell’anima che prende la via del corpo. Nemmeno con l’anoressia, dalla forma così evidente, riusciamo ad accettare questa verità, secondo me. Da qui le cattive cure, le opinioni distorte, il malgiudicare.