essere e status: olio e acqua
(Marc Augé Diario di un senza fissa dimora)

15 novembre 2011

Marc Augé, Diario di un senza fissa dimora (Raffaello Cortina, 2011, traduzione di Maria Gregorio, € 9,50). Marc Augé è un celebre etnologo e antropologo francese con il dono per la scrittura e, aggiungerei, per l’immedesimazione: riesce a calarsi in un personaggio paradigmatico, un senza fissa dimora, per farci prendere coscienza di un fenomeno sociale con la stessa forza che avrebbe un buon film. Il tema è di grande attualità. Augé parte da un dato legato alla crisi economica: esiste, nei paesi ricchi, una nuova fascia di persone che pur avendo un lavoro o una pensione sono a tutti gli effetti povere. Non hanno un reddito sufficiente a mantenere una casa. Quando vediamo qualcuno che dorme per strada lo classifichiamo in categorie sempre molto lontane da quelle in cui includiamo noi stessi, ma Augé ci dimostra che spesso non è così. In questo libretto formato tasca, il protagonista è un pensionato ex ispettore del Fisco, senza figli e con due ex mogli che si sono prese il poco che aveva. Quando anche la seconda lo lascia, l’uomo si accorge che la sua pensione non basta a pagare l’affitto. Vende i mobili e prende una decisione radicale: andare a vivere nella sua Mercedes. Di giorno gira per il quartiere, frequenta i negozi dove fa regolamente la spesa, chiacchiera con la gente che non conosce la sua situazione, saluta la portinaia fingendo di aver cambiato indirizzo. Mantiene dei ritmi, igiene personale, pulizia degli abiti, regolarità nelle abitudini, un diario delle sue nuove giornate, i pasti che in una vita con pochi punti fermi diventano pilastro e cadenza della giornata.

A poco a poco, per il solo fatto di non avere più una casa, un indirizzo, una cassetta della posta, scivola in una terra di nessuno. Come se perdere un domicilio significasse perdere la propria collocazione sulla mappa sociale. Nell’istante in cui gli altri non sanno chi lui sia perché non sanno dove lui sia, lui stesso sente affiorare una nuova dimensione della propria identità: una dimensione più fluida, «una lieve sensazione di ebbrezza o di vertigine, la certezza di poter fare quello che voglio senza che qualcuno lo sappia» (pag. 28).
Essere e status si separano come olio e acqua dopo l’emulsione, ogni parte estrinseca la propria natura. Anche i vecchi amici diventano impossibili da fequentare, «difficile interpretare una parte quando non ha più ragione d’essere, e difficile restare al proprio posto quando lo si è perduto» (pag. 125). Con questo racconto scritto in prima persona Augé ci spinge ai confini del nostro essere e del nostro punto-mappa nel mondo. Ci fa sentire che l’uomo del romanzo potremmo essere noi. Ci aiuta a guardare in modo diverso chi vive come lui. Ma questo pur eccezionale risultato sarebbe ancora poco se Augé non ci inducesse anche a sporgerci su un baratro che dà le vertigini: la tentazione che tutti coviamo, chi più in superficie, chi più repressa, di provarla, quella libertà magmatica, senza fissa dimora.

Scritto da: Francesca Magni

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(Marc Augé Diario di un senza fissa dimora)”


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