in bilico sulla vita
(Philippe Petit Trattato di funambolismo)

1 agosto 2011

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Ho sentito citare questo libro per caso, tempo fa. Non ho potuto dimenticare il titolo, Trattato di funambolismo, né il nome dell’autore, forse perché è lo stesso di mio figlio accompagnato da un aggettivo calzante: Philippe Petit. Francese, nato nel 1949, funambolo naturalmente. La fascetta del libro (2009, Ponte alle Grazie, € 12,50), finalmente comprato in questa domenica sospesa fra luglio e agosto, lo nobilita in quanto “ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa” – non ho nulla contro Fabio Fazio, è tra i migliori per molti versi, ma tolta la fascetta leggo “prefazione di Paul Auster” e mi chiedo se valesse la pena di nasconderla. Parto dal testo di Petit e non smetto finché luglio diventa agosto e un libro sul funambolismo diventa lezione di vita.
Comincia con le definizioni, cos’è un cavo, di che materiale è fatto, c’era un tempo la corda, ora si usa l’acciaio, ma rilascia il grasso e allora va trattato, e i piedi, un tempo nudi, tatuati dalla corda, solcati e inspessiti, ora calzati, ma scarpe leggere, «il piede deve sentire il cavo», e via i primi passi tendendo il filo fra due alberi, «puntate lo sguardo all’estremità, il traguardo», «la traversata sarà una successione di equilibri, su un piede, poi sull’altro…», il cavo è cosa viva, va trattato con cura, lavorato, ripulito, rispettato, «il filo trema. Si vorrebbe imporgli la calma con la forza, mentre invece bisogna spostarsi con dolcezza, senza disturbare il canto della corda».  Sentirsi su quel filo succede senza rendersi conto, ti ci senti perché ci sei. Filo, vita, è lo stesso.
Poi vengono gli esercizi, Philippe Petit li elenca, sette pagine, non li spiega, non serve, basta dirli e li vedi come se li avessi visti, anche se un funambolo magari non l’hai visto mai, ma c’è qualcosa in ogni esercizio, in ogni difficoltà, che d’istinto conosci e hai provato. Poi le istruzioni per montare i pali e le piattaforme per gli attrezzi, il funambolo è “adulto” adesso, l’allenamento, il riposo, «Ah, no! Mai esser tristi sul filo! Con un movimento della spalla rimetto in equilibrio i miei pensieri e parto cantando». Le grandi traversate, la caduta, il vento, la prova, scrive Paul Auster nella bellissima prefazione: «Il funambolismo non è un’arte della morte, ma un’arte della vita – della vita vissuta al limite del possibile. Ovvero della vita che non si nasconde alla morte, ma la guarda dritta in faccia». Ma non è ancora tutto, «il funambolismo è un’arte solitaria, è un modo di affrontare la propria vita, nell’angolo più oscuro e segreto di se stessi».
Racconta Paul Auster di quando abitava a Parigi, era il 1970, e fu inconsapevole testimone dei traffici di Philippe Petit la notte in cui tese una fune tra due guglie di Notre-Dame e camminò sopra una folla sorpresa da quello spettacolo clandestino; una volta a terra, venne arrestato. Ma poi sono seguite mille imprese, la camminata fra le torri gemelle tra le più famose, traguardi perseguiti con orgogliosa , personale ambizione, senza la minima  aspirazione al record. In un’epoca in cui ostentare abilità, spesso le più assurde e stupide, richiama attenzione rumorosa ed è volutamente orientato a ottenerla, questo artista del funambolismo tra i più abili al mondo non ha mai ambito a riconoscimenti, pubblicità, successo (tant’è che non sono in molti a conoscerlo e si cita l’ospitata da Fazio per “promuoverlo”): «voleva semplicemente fare ciò che era capace di fare». E forse questa, di Petit, è la lezione più grande.

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Scritto da: Francesca Magni

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(Philippe Petit Trattato di funambolismo)”


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