conquistata da un thriller
(Jo Nesbo Il leopardo)

22 giugno 2011

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Visto il successo internazionale di Jo Nesbo, giallista norvegese bestseller, ho iniziato a leggere Il Leopardo (Einaudi, 2011, € 21,00) con cui ha scalato anche le nostre classifiche. Nelle prime cinque pagine una ragazza e’stata catturata da un uomo che le ha infilato in bocca una sfera di metallo da cui, tirando una cordicella sono schizzati 24 aghi che le hanno infilzato la bocca; e prima di addormentarla con un anestetico rapido, lui le ha sussurrato “non tirare la cordicella”. Svegliatasi in preda al dolore e al panico, la ragazza si trova nell’atroce dilemma: tirare la cordicella fara’ rientrare gli aghi o succedera’ qualcosa di peggio? Ovviamente pur di sottrarsi a quella tortura la ragazza tira la cordicella e muore in un modo orrendo che non vi dico, anche se dicendovelo, come dicendovi della palla di metallo in bocca, non vi ho svelato nulla che non si deduca dalla quarta di copertina. Il capitolo successivo introduce i classici stereotipi del thriller: una bella poliziotta norvegese vola a Hong Kong per cercare un ex poliziotto alcolizzato e drogato e convincerlo a tornare: solo lui, esperto di serial killer, e’ in grado di risolvere l’omicidio di cui vi ho detto, e quelli che inevitabilmente seguiranno.
Dopo i primi tre capitoli ero sconcertata: come possono migliaia di persone leggere di simili torture senza battere ciglio? Come puo’ qualcuno sano di mente godere la lettura di orrori cosi’ gratuiti e assurdi, mentre io non faccio che immaginare cosa possa anche solo vagamente significare quella sfera puntuta grande tutta una bocca?
Non sono una lettrice di thriller e leggo anche pochi gialli, in genere mi annoiano, trovo pretestuose le storie, ho l’impressione che ci sia sempre, a un certo punto della trama, qualche garbuglio che confonde il lettore, come se l’autore sollevasse polvere, come il trucco di un prestigiatore, per far credere che l’indagine si sia svolta secondo logica, astenendosi tuttavia dall’offrirne le prove. In sintesi, mi e’ spesso capitato di pensare che i gialli siano un bluff. E ho sempre trovato offensive le trame truculente, la tortura, che non e’ espediente letterario ma atroce realta’ storica e contemporanea, spesso a un passo da dove abitiamo ignari.
Eppure non ho mollato. Jo Nesbo sa come incantare, personaggi forti, capitoli che si alternano secondo schemi a sorpresa, il mistero che non si svela letteralmente fino all’ultimo. Nemmeno intorno a pagina 580, quando sembra che l’assassino sia stato preso, si e’ raggiunta la verita’, e infatti ci si ritrova a correre ancora, per quasi altre duecento pagine, prima di chiudere e di nuovo con sorpresa. Ma la cosa più’ bella e’ che Nesbo non solleva polvere, non cerca di incantare, semina fili e poi li raccoglie tutti, anche quelli che credevi insignificanti, li intreccia con precisione e logica senza deludere mai. In questo romanzo tutto si spiega, ed e’ la trama più’ complessa che si possa immaginare, perche’ non c’e’ semplicemente un serial killer ma e’ come se ce ne fossero due; e soprattutto non c’e’ un movente banale per i delitti, ma il più’ oscuro, profondo, inestirpabile e universale dei moventi: la tragedia esistenziale di ognuno.
Siamo tutti vittime, dice Nesbo a un certo punto. Vittime di famiglie storte, vittime di coazioni che vengono dalla nostra storia e dal sangue che abbiamo ereditato. L’esistenza e’ per ciascuno una tragica battaglia contro quello che non vogliamo essere ma finiremo per essere, perche’ ci hanno plasmati cosi’. Battaglia persa? Per qualcuno, forse per la maggior parte, ma non per tutti. Sono cambiamenti lenti, quelli che riusciamo a operare su noi stessi, cosi’ lenti che spesso arrivano troppo tardi. Ma qualche volta riescono a metterci in salvo.
Ho letto questo libro fino all’ultima pagina, la 759, e il poliziotto Harry Hole (che qui e’ alla sua ottava avventura) non mi ha solo tirata in giro in una scorribanda investigativo-psicologica con qualche focus interessante sulla mente di un killer seriale: mi ha soprattutto fatto riflettere sulla genesi del male. E c’e’ una frase buttata li’ a pagina 189 che non e’ banale come si potrebbe frettolosamente pensare: «L’amore e’ una macchina per uccidere».

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Scritto da: Francesca Magni

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(Jo Nesbo Il leopardo)”


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