grazie a un paio di espadrillas turchesi

13 maggio 2011

xxx

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In calle Mayor, poco fuori plaza Mayor, si trova un negozio piccolissimo che vende “solo” espadrillas, “solo” fra virgolette, ne avrà molto più di un centinaio di modelli, declinati in una ventina di colori; vende anche stringhe e corde di ogni tipo e tinta, come se le espadrillas uno potesse fabbricarsele anche in casa. Mia figlia si era innamorata di un paio turchesi e mi ha convinta a sfidare una ressa da concerto rock per arrivare fino al bancone di legno antico dove quattro commessi, tutti uomini, servivano orde di donne da corrida. E mentre mi facevo largo in quella ressa mi sono accorta che non c’era affatto bisogno di farsi largo perché la folla era come morbida come il burro, permetteva di infilarsi con naturalezza, nessuno sgomitava o cercava di fare il furbo; chi arrivava chideveva chi fosse l’ultimo, e si acquietava aspettando il suo turno certo che nessuno glielo avrebbe soffiato. Non si può dire che gli spagnoli siano gente in punta di forchetta, non c’è un’etichetta né un costume formale come ho visto in Giappone o in parte anche in Germania, però conservano un rispetto basico che da noi è diventato rarità di cui stupirsi. L’ho visto spesso, mi è stato chiaro oggi, grazie a un paio di espadrillas turchesi. E sebbene mi interroghi tentando una critica alla mia esterofilia, non riesco a non pensare che qui, pur con tutti i limiti – e i limiti tipici di un popolo “del Sud” – si sia conservato un nocciolo incorrotto fatto semplicemente di buona educazione. Non ho visto scala mobile della metropolitana su cui la gente non sostasse sulla destra, se desiderava stare ferma, e camminasse sulla sinistra avendo fretta. Non ho mai visto modi sgarbati, scortesia, bramosia di superare, di vincere, di mostrarsi qualcosa di più. Non lo si vede nemmeno nell’abito della gente. Da milanese abituata a camminare in mezzo a persone del cui abbigliamento puoi fare la somma alla cassa (250 per le scarpe Hogan, 150 i jeans Diesel, 400 il bomber Moncler, altrettanti per la borsa Prada se autentica, e via così come spazi pubblicitari liberi) ho trovato bellissimo e oltremodo liberatorio il modo di vestire delle spagnole, magliette e gonne modello Zara, ma solo Zara, non Zara pià Dolce & Gabbana, scarpe da pochissimi soldi (un paio di espadrillas col tacco costa 30 euro, ma le ballerine sono a 15, e niente diktat, ognuno mescola come vuole, meno sofisticate, meno eleganti, meno trendy, meno glamour, meno “invidiabili”, ma molto autentiche, con uno stile personale. Mi è sembrato un modo molto bello di essere se stesse, questo non dover essere migliori di nessuno. Non so quanto tempo ci voglia, in Spagna, per avere un documento, quanto scorra la burocrazia, se gli ospedali funzionino bene; però invidio questa cortesia, le auto che si fermano sulle strisce, la gente che si scusa se ti urta per strada, il vecchio che a Toledo ci ha accompagnato alla stazione perché non sapevamo trovarla, le signore di Segovia che si sono assicurate che salissimo sull’autobus giusto. E poi i custodi dell’Alcazar che hanno atteso pazientemente che finissimo il nostro giro senza sbiffare per i minuti sforati oltre a chiurusa. O la legge che impedisce di deturpare la facciata delle case, che vuole l’estetica dei palazzi coerente con il contesto ma ti lascia libero, all’interno, di fare ciò che vuoi purché la “comunidad” dei vicini. sia d’accordo. Ho chiesto ai miei due insegnanti di spagnolo madrileni doc, Miguel, 25 anni, e Ramon, 50, due persone che più diverse non si può (sgiovane liberale il primo, sanguigno appassionato di corride il secono) come si vive a Madrid: benissimo, hanno detto entrambi senza incertezze.

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