Antonio Muñoz Molina e il talento per scrivere

3 maggio 2011

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Comincio la giornata con churritos y zumo de naranja, poi inizio il mio corso di spagnolo, è per questo che sono qui, anche se mi sembra di trovarci parecchie altre ragioni. Gli insegnanti sono Miguel y Ramón, perfetta complementarietà, giovane di eloquio comprensibile e dedito alla grammatica il primo, di mezza età dalla parlata criptica e dedito alla chiacchiera il secondo. Si crea subito quella specie di confidenza da ti-racconto-quel-che-faccio perché è il primo e più semplice argomento di conversazione, ed è curioso vedere pezzetti della mia vita privata svuotati per farsi puro esercizio di lingua senza che si sia interessati a condividerli o a confidarli davvero; è un po’ come quando ti sorprende la tua immagine specchiata in una vetrina all’improvviso. Ma Ramón, zapateriano doc, vuole sapere davvero come si lavora in un giornale in Italia, Ramón legge i quotidiani con interesse, ama l’arte e la letteratura e appena dico che escribo sobre libros estrae dalla cartella un ritaglio del supplemento domenicale di El País e me lo fa leggere a voce alta, e io non solo mi stupisco di capirlo piuttosto bene: mi supisco della casualità felice che ha portato sotto i miei occhi un articolo che sembra parlarmi, e non solo in spagnolo. Antonio Muñoz Molina racconta di quando, negli anni Ottanta, scrittore venticinquenne e già padre di famiglia, venne a Madrid per incontrare altri scrittori che immaginava (e vedeva) immersi in vere vite da “narradores”, vite consumate in stanze di hotel inseguendo donne e vino nella affollata solitudine bohémien dello scrittore da stereotipo. Oggi che ha il doppio degli anni di allora, Muñoz Molina sorride d’aver accostato con soggezione quegli autori un po’ maledetti e di averli invidiati per quella “allure”, e con modestia rileva qualcosa che mi colpisce come un petardo che scoppia a sorpresa: quello che il poeta Antonio Machado chiama “el don preclaro de evocar los sueños” lo possiedono molte persone. Scrive Muñoz Molina: «Lo que me atraía entonces del talento narrativo era que me parecía muy singular, exclusivo, reservado a unas pocas personas, los escritores. Ahora lo que me intriga, lo que me gusta de mi oficio, es la convicción de que casi todo el mundo está dotado para dedicarse a él, o por lo menos de que mucha gente que ni escribirá nunca un libro o no llegará a publicarlo posee la capacidad de contar historias*». Saper raccontare non è prerogativa esclusiva degli scrittori: prerogativa esclusiva degli scrittori è dedicarsi a farlo. «Y la razón de una gran parte de la mala escritura es el miedo», cioè la paura…

nnn

*[traduzione: «Ciò che un tempo mi attraeva del talento narrativo era che mi sembrava molto raro, esclusivo, riservato a poche persone, gli scrittori Ora ciò che intriga, ciò che mi piace del mio lavoro, è la convinzione che quasi tutte le persone sono dotate per dedicarsi a esso, o per lo meno che molti che non scriveranno mai un libro o non arriveranno mai a pubblicarlo possiedono la capacità di raccontare storie»]

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