quel punto dell’amore
(David Nicholls Un giorno)

1 settembre 2010

Tempo di lettura: 4 minuti

David Nicholls, Un giorno (Neri Pozza, 2010, € 18,00). Emma è seria, piena di ideali, impegnata politicamente, porta occhiali da secchiona che coprono un po’ la bellezza di cui non è consapevole; Dexter è figlio di buona famiglia,  incline al disimpegno, alle sbronze e all’ossessione di trovarsi un posto al sole. Dexter e Emma passano insieme la notte della loro laurea. È il 15 luglio 1988, si piacciono da pazzi, ma lei è impacciata, lui non vuole mostrarsi troppo coinvolto e la storia prende una piega strana. Dex e Em si negano l’uno all’altra e a se stessi per 392 pagine, divise in capitoli che hanno per titolo sempre quella data, 15 luglio. Dexter gira il mondo, giocherella a fare il fotografo, capita a lavorare in tv, ha successo come presentatore di un programma demenziale; nel frattempo ha  decine di storie, tradisce, flirta e si sbronza. Emma vuole vivere a Londra, inizia un romanzo dopo l’altro, scrive pièce teatrali per le scuole, divide casa con un’amica e lavora in un ristorante messicano. Nel frattempo vive da single con discreta rassegnazione finché non accetta l’amore di Ian, che non ricambia. Dexter e Emma si vedono spesso (da amici) e si pensano costantemente, mentre percorrono strade parallele: Emma lascia Ian e inizia ad avere risultati come scrittrice per ragazzi, Dexter perde la madre e si avvita in una spirale di sbronze e donne, finisce per diventare “il presentatore più antipatico della tv”, precipita, crede di risollevarsi sposando una ragazza glaciale da cui ha, senza progettarlo, una figlia. Quando il matrimonio va a rotoli e Dexter rallenta la corsa, affiora l’unico vero desiderio. Emma. Finalmente è il loro momento, si sposano. Sono felici.
Fin qui il romanzo fila liscio e leggero, fa un po’ rabbia quel desiderarsi mai soddisfatto, ma i dialoghi sono arguti, ironia intelligente, Dex e Em “disegnati” benissimo, e attorno una corona di personaggi ben tracciati. Fin qui è il brioso ritratto di una generazione, quella nata tra la metà degli anni Sessanta e i primi Settanta, con i temi del caso. Il “tutto è possibile” che si tramuta in terrore di non riuscire in niente; il bisogno di avere successo per credere a se stessi; la voglia di farcela da soli e le stampelle (soprattutto alcol e sesso) per puntellare la paura. E poi temi più universali come l’incapacità di mettersi in gioco dando corso a un sentimento. Paura di vivere? Paura di consumare ciò che si prova?
Fermatevi qui, se non volete che vi rovini il piacere di leggere questo romanzo (che è bello, vale la pena) svelandovi il finale. Ma una cosa sul finale la devo dire. Perché quando a pagina 430, il pomeriggio di un 15 luglio dopo che Emma e Dexter si sono riappacificati dalla litigata mattutina – un battibecco per la politica, ma sotto c’è che lei ha scoperto di non essere incinta, ed è un anno e mezzo che ci provano – quel pomeriggio, mentre Dexter è al Belville, l’enoteca che ha messo in piedi con soddisfazione, ed Emma prende la bici per andare a nuotare, quel giorno piove. Lei scivola, cade e muore, e in quel momento, a pagina 430, ti chiedi che senso ha. Snobistica allergia al lieto fine? Ti chiedi – e non riguarda solo Dex e Em – se il clic della morte come un’istantanea che ferma il tempo nel suo punto migliore non sia una inesorabile legge dei rapporti d’amore. Non è sempre la morte, è chiaro. Ma quel clic arriva per tutte le coppie, e nessuno se ne accorge se non “leggendo” i capitoli successivi. Infatti il romanzo non finisce qui. Seguono altre 57 pagine in cui Dexter si dispera, rivive il ricordo del primo incontro con Emma e i molti anni in cui erano stati amici, si immerge nella nostalgia, si macera nel rimpianto, e alla fine, come tutti, continua a vivere.

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