Paola Mastrocola La felicità del galleggiante
“Galleggiante di mare
che rimani in superficie
che salvi
la rete dall’affondo
o le chiavi o il nostro
portafoglio,
ti tiene una catena al fondo,
non te ne puoi andare.
Forse ti piacerebbe sprofondare,
vedere cosa si nasconde sotto,
frequentare
un po’ del nostro buio abituale.
Mi dispiace, non t’è dato.
Sei il nostro multi-
colorato scampo
– il sughero, la boa,
il gavitello
che ci occhieggia per attraccare –
la sola cosa in vista
alle nebbie dell’orizzonte
in questo vasto nostro indistinto
troppo infinito firmamento:
tu gli fai da punto, gli opponi
qualche non futile orpello.
Non mi lasciare, galleggiante.
Voglio stare come te
sull’acqua
fluttuante, non scandagliare
le cause e le ragioni: stare
attaccata,
appagata di guardare
il mondo cangiante, e non andare
a fondo.
A fondo c’è sabbia e roccia,
piana o leggermente mossa:
nient’altro che si possa
riportare a galla”.
[Paola Mastrocola, La felicità del galleggiante (Guanda, 2010, € 13,00). Una raccolta di poesie che ruotano intorno al mare, terreno fertile per metafore; ogni tanto apro il libro e ne rileggo una a caso: oggi questa. Invidio il galleggiante].
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Tags: Guanda, La felicità del galleggiante, Paola Mastrocola, poesia
Belissima! La mia preferita.
Galleggiare è un po’ come tornare a volare dopo esser caduti. Ma la vulnerabilità nelle cose preziose è bella perché è un segno di esistenza. La caduta ci fa reali. Così questa poesia è gemella di un’altra. Che viene prima.
S’è incupito il mondo, s’è perso
in una morsa di cielo ferro.
Il mondo che stamattina soleggiava,
mi sorrideva
di luce.
Eravamo partiti per sedurre.
Ora torniamo sgonfi,
seri di nebbia,
sbeffeggiati da un’assenza,
blocco di cera sfatta, un trucco
che s’è rivelato inerme cola,
ci segna le righe sulle guance
come gli indiani
quando spaventano il nemico da combattere
o la morte che arriva.
Grazie per la lezione d’umiltà,
per il lento
scorrere dei tram,
l’inesorabile passaggio
di nubi, questo grigio
che ora ci percorre
fin sui piedi e ce li storce,
ci piega
misere statue inginocchiate
su basi di cemento: l’unico
barlume, triste, dell’eternità.
(Fine della seduzione)