Benedetta Cibrario Sotto cieli noncuranti

4 settembre 2010
Scritto da: Alessandra D’Ottone

«Ho sentito dire che toglieranno dal mercato i termometri a mercurio e le lampadine a incandescenza. Niente più palline a mercurio che corrono sul pavimento finchè non si urtano e si fondono in una più grande. Niente più filamenti incandescenti da guardare con gli occhi socchiusi per vedere i fili argentati che fremono. Il mondo è fatto di dettagli. Noi siamo un agglomerato di dettagli. Siamo una manciata di neve fresca che si scioglie al calore della mano. Palline di mercurio, sensazioni imprecisate, trascuratezze, minuti evaporati. Mezze frasi a cui non si è prestata attenzione, facce di cui non si ricorda più l’espressione. Avvertimenti. Segnali. Intuizioni. Paure, premonizioni, fesserie, sogni che s’infrangono e sogni che si avverano, siamo gli oggetti che intasano le nostre case, le memorie che accavallano e perdono di senso, fuse come sono in un significato nuovo. Siamo le disattenzioni. Le conseguenze. Le fortune immeritate. Le sventure. Siamo addormentati sotto cieli noncuranti, cieli che sono ovunque benché la neve li nasconda allo sguardo, come a proteggerli dalle domande di fuoco che incendiano la testa. Avrei soltanto voluto avere il tempo di spiegare a un bambino dalle ciglia scure che i semi della melegrana sono traslucidi e che i bottoni di madreperla un tempo sono stati conchiglie cullate dal mare. E che non siamo capaci di volare. Non lo saremo mai». Questo profondo monologo di un’anima che non sa fare a meno di scaraventare la propria dimensione sensibile su quella gran parte di mondo sovrastata da vasti cieli noncuranti sbalza con sottile veemenza dal testo dell’ultimo romanzo di Benedetta Cibrario, Sotto cieli noncuranti, edito nel 2010 da Feltrinelli. L’autrice toscana è al suo secondo romanzo, dopo il successo di Rossovermiglio con cui ha conquistato il premio Campiello nel 2008. Sulla scia delle emozioni raccolte dalla lettura dei versi di Dylan Thomas (Questo lato della verità), la Cibrario costruisce un romanzo a più voci, con diverse storie che s’intrecciano ma che in fondo appartengono alla stessa triste realtà. L’io narrante non è unico e questo stimola la giusta suspence per tenere sempre viva l’attenzione e, soprattutto, per arrivare all’anima della storia d’insieme. In un freddo dicembre torinese, pieno di neve e di ombre, pochi giorni prima di Natale, il padre della giovane Matilde ( sorella di Caterina e Beatrice, e una delle principali voci narranti), il magistrato Giovanni Corrias, è chiamato ad indagare sul caso di un bambino morto misteriosamente tra le mura domestiche. Nella fase iniziale degli accertamenti sul caso, il magistrato così ligio al dovere si ritrova a dover vivere una tragedia simile sulla propria pelle:Chiara, sua moglie, viene investita da un’auto, e la sorte pare disegnare una geometrica contemporaneità. Nonostante la tragedia , l’impeccabile magistrato non sa reagire diversamente se non attaccandosi al senso del dovere e della professione e proseguendo le indagini in corso, quasi spinto dal desiderio di trovare la spiegazione al proprio dolore nel dolore altrui. Ad aiutarlo nell’indagine c’è Violaine, una giovane poliziotta laureata in psicologia che, al di là della collaborazione professionale, sarà una presenza preziosa per quelle ragazzine così fragili e così innamorate della vita. La più fragile è Matilde: ha dodici anni, non sopporta i guanti spaiati e si ritrova alle prese con piccoli riti per cercare di dare un ordine alla realtà perché “le cose rotte si devono aggiustare. E quelle che fanno soffrire si devono curare”. La piccola osserva quello che le accade intorno, cerca di comprendere il mondo degli adulti, tanto diverso dal suo, e capisce quanto sia labile l’esistenza umana. E così, a dispetto di un cielo che non sembra curarsi del dolore di nessuno, e che non sa dare una vera risposta ai perché delle voci protagoniste di questa triste e “immotivata” storia, prova a scoprire una soluzione definitiva per prendersi cura del padre, convinta che sia lei a dover sanare le ferite per quel dolore che silenziosamente lo sta uccidendo dentro.

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