bagaglio essenziale

16 settembre 2010
Tempo di lettura: 3 minuti
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Quattro adulti, quattro bambini lungo il Danubio, da Passau a Vienna, cinque giorni ai pedali, bagaglio al seguito: finalmente i miei figli sono abbastanza grandi per la vacanza che sogno da sempre. Duecento chilometri, riva nord, riva sud, i battelli di legno per attraversare, la sera cercare un posto in cui dormire, e fermarsi stanchi ma già col pensiero di ripartire. In un viaggio in bicicletta alcune comuni leggi della fisica e del corpo non valgono più. Tanto per cominciare la velocità non è il rapporto tra lo spazio e il tempo, ma tra l’energia delle gambe e il desiderio di pedalare, è una dimensione nuova che non ti fa schiavo della meta ma solo del gusto di andare: una volta scollinato il giorno, in quel momento magico che scivola verso il tramonto, la fatica si trasforma in piacere. Fortissimo, fisico, euforizzante, vorresti non smettere mai. Il mattino dopo vai a marce più tese, i muscoli sono ingordi, più gli dai movimento più ne chiedono. Viaggiavamo guidati dallo scorrere del fiume, presi dallo stupore di guardare il mondo in corsa senza che ci fosse in mezzo un finestrino. C’è una seconda legge che la bicicletta smentisce: non occorre rallentare per osservare, anzi, correndo a quella velocità tutta tua, vedi meglio. Ogni cosa ti arriva nei dettagli, i borghi con i campanili a cipolla, gli animali sulla riva, i campi di granoturco, di soia, di cavoli; non mi ero mai accorta che le spighe di frumento maturo fossero ripiegate all’ingiù. La speciale andatura dei pedali esalta anche gli odori, quelli umidi del bosco o limacciosi del fiume, quelli impetuosi dell’acquazzone. È stato elettrizzante pedalare sotto la pioggia, fradici al punto che i piedi nelle scarpe sembravano pesci: il rumore dell’acqua ti picchietta come fossi pianta, fiore, foglia. Deve essere questo sentirsi parte della natura che accende le energie. Il giorno dopo non vedi l’ora di ritrovare la bicicletta, che è quasi una cosa viva. E pazienza se hai le gambe indolenzite perché una terza legge capovolta ti viene in soccorso: il bagaglio toglie peso. Avere con te tutto ciò che occorre dà un senso di autosufficienza, di libertà, più potente di qualsiasi sostanza dopante. Ti senti leggerissimo. Paolo Rumiz, giornalista e viaggiatore, scrive che «in un viaggio lento tutto si riempie di simboli: la salita è penitenza, il bivio è scelta, il rettifilo introspezione». Per me il simbolo più forte sono state quelle due borse sul portapacchi. C’era tutto il necessario. Tre magliette, tre paia di calze, un impermeabile e una felpa, un quadernetto per appunti, una penna, spazzolino e dentifricio. Mentre le riempivo per la prima volta, ho pensato alle parole del Piccolo Principe: «L’essenziale è invisibile agli occhi». L’ho capito veramente dopo essere tornata a casa. Per giorni ho avvertito la sella, il manubrio, i pedali sotto di me, come una sensazione da arto fantasma. Una nostalgia fortissima per quell’essere in viaggio con niente e con tutto. E mentre la routine mi trascinava di nuovo nella sua processione di necessità inessenziali, ho realizzato che quel viaggio mi aveva fatta sentire “veramente me”. Ci siamo fatti una promessa: ogni anno partiremo per una vacanza in bicicletta.

Pubblicato su Donna Moderna n. 36, 2010
Vedi anche la recensione di È Oriente di Paolo Rumiz

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